Come è noto, criticando Hume a proposito della sua analisi della relazione causale (v. bibliografia), Kant osserva che la semplice successione delle percezioni non è in grado di rendere ragione della struttura ‹‹ X determina Y ››, dove X e Y sono fenomeni empiricamente accertabili: i tre criteri indicati dal filosofo scozzese (priorità nel tempo, contiguità nello spazio e congiunzione costante) non definiscono le successioni causali, in quanto finiscono per comprendere successioni di altro tipo. Perché una successione sia causale deve darsi una condizione, e quindi una legge in cui tale condizione venga formulata, che vincoli X e Y in modo necessario e renda così pienamente il significato di ‹‹ X determina Y ››. Nella sua condizione razionale, l’intero evento ‹‹ X determina Y››, con X e Y opportunamente scelti, trova il suo fondamento ed è solo in questo modo, solo perché allude a questo sicuro fondamento, che un’espressione del tipo: “Il fenomeno Y scaturisce necessariamente dal fenomeno X” può risultare sensata. In realtà, non vi è nessuna misteriosa potenza generativa in X, come Hume aveva capito, ma una relazione costante tra i fenomeni che costituiscono l’evento, posta dall’attività del pensiero nella sua fase conoscitiva, che è quanto lo scetticismo humeano non era riuscito a cogliere. L’evento, in un certo senso, presuppone la legge la quale perciò non è una semplice generalizzazione empirica dei fenomeni osservati.
Non c’è bisogno di ricordare come questa valutazione dell’analisi condotta dal filosofo scozzese abbia finito per fissarsi diventando quasi un luogo comune della storia della filosofia, inchiodando Hume e il suo empirismo ad un modello di astrazione debole e facilmente criticabile. Kant, aveva certo una conoscenza dei fatti scientifici più profonda di quella di Hume (cfr. Ayer, v. bibliografia), ma a ben vedere il suo giudizio sulle tesi di Hume risulta ingeneroso e può essere sostenuto solo a patto di mutilare la pagina su cui riflette e la teoria in essa contenuta. Come è facile constatare, testo alla mano, questa teoria non si riduce ai tre criteri indicati. Hume era perfettamente consapevole che questi tre criteri, presi da soli, non erano in grado di spiegare la relazione causale.
Per chiarire questo punto, riformuliamo innanzitutto la posizione di Kant.
Se A e B sono due fenomeni accertabili empiricamente, diciamo che tra A e B intercorre una “relazione di Hume” se: (1) esiste una successione di cui A e B sono termini; (2) A intrattiene con B una relazione avente le tre proprietà indicate da Hume: priorità di A rispetto a B, contiguità nello spazio e congiunzione costante. Chiamiamo “condizione causale” la condizione, formulata in una legge, che seleziona, tra le successioni che soddisfano alla “relazione di Hume”, quelle cui risulta inoltre attribuibile la proprietà dell’asimmetria (se A viene prima di B, B non può mai precedere A) e nelle quali il rapporto tra A e B risulti invariabile (ogniqualvolta si verifica A, si verifica anche B), oltreché significativo. (Altrimenti, noi potremmo mettere in relazione, che so, il numero dei matrimoni nel Siam con il prezzo dei ferri di cavallo a New York, visto che queste quantità variano di anno in anno. Una tale formula non avrebbe però alcun valore per la scienza; essa non comprende alcuna informazione significativa). Chiamiamo, infine, “causa di B”, il fenomeno empirico A tale che (1) A intrattiene con B una “relazione di Hume” e (2) esiste una “condizione causale” sotto la quale la successione A,B cade.
Ora, il problema è sapere se nel testo di Hume esiste qualcosa capace di svolgere la stessa funzione selettiva svolta da quella che abbiamo qui chiamato "condizione causale". Il vantaggio dello schema che abbiamo presentato è che esso ci consente di capire, semplicemente riflettendo sui punti che lo costituiscono, quale potrebbe essere una trattazione alternativa della questione. Invece di interrogarci preliminarmente sulle condizioni poste dall'attività conoscitiva per arrivare poi ad identificare le successioni significative, potremmo infatti seguire la strada inversa. Potremmo, cioè, partire dal fatto che esistono successioni significative e considerare il lavoro della ragione che cerca di fissare le condizioni generali come qualcosa che comunque presuppone questa esistenza. Vi sono situazioni in riferimento alle quali "normalmente" siamo portati ad impiegare il termine "causa" ed altre che, altrettanto "normalmente", sentiamo di dover escludere da questo stesso impiego. Ad esempio, escludiamo che tra la danza dello stregone e la pioggia vi sia, in realtà, una qualche relazione. La soluzione proposta da Hume segue questa strada e non è il frutto di una teoria povera dell'astrazione, bensì l'esito di un differente quadro concettuale.
La parola chiave che ricorre nel testo di Hume è, come è noto, quella che viene tradotta con il termine italiano "abitudine": nella spiegazione della relazione causale non basta tener conto dei tre criteri indicati sopra, ma occorre introdurre questo ulteriore protagonista. La parola "abitudine", però, sembra confermare e non smentire il luogo comune di cui dicemmo all'inizio, aggiungendovi inoltre un aspetto psicologico e una certa aria di possibile irrazionalismo. Un'abitudine, infatti, è una specie di meccanismo della memoria che sembra agire come dall'esterno sull'individuo, il quale collega percezioni fissando passivamente e in modo inconsapevole quello che l'esperienza gli presenta frequentemente. Niente di più lontano dalla funzione selettiva che stavamo cercando. A meno che la traduzione italiana non tradisca il senso del termine originale. In inglese, abitudine, nell'accezione indicata, corrisponde prevalentemente al vocabolo "habit". Ma la parola che usa Hume è diversa. Hume scrive "custom". Custom si usa per lo più in riferimento ad una pratica comune, consolidatasi nel tempo con la forza di una legge non scritta, che finisce per costituire l'orizzonte all'interno del quale si inseriscono gli atti e i comportamenti degli individui (v. bibliografia). Dove c'è custom c'è dunque una legge non scritta e quindi un'esperienza condivisa e principi generali. Il legame causale è il risultato di un'elaborazione della mente, che ben lungi dal ridursi alla semplice registrazione di quello che accade ripetutamente, mette in relazione e inferisce sulla base di un giudizio, il giudizio by custom appunto. Ma in cosa consiste, più esattamente, questo giudizio by custom ? Qui la teoria di Hume diventa particolarmente interessante, in quanto adotta quella soluzione mista e aperta che sottolinea la studiosa A. Attanasio nelle sue ricerche (v. bibliografia). Ancora una volta viene smentito un altro luogo comune e cioè quello che, per dirla in forma diretta e senza mediazioni, liquida l'empirismo (di solito, non meglio specificato) come una sorta di conformismo, di sostanziale e acritica accettazione dei "meccanismi" fondamentali che producono e riproducono l'ordine costituito. Il giudizio by custom non si limita ad assumere l'esperienza così come questa si offre, ma, con i piedi ben piantati sul suo terreno, interviene selettivamente introducendovi le "correzioni della riflessione". La distinzione tra le sequenze accidentali dalle sequenze causali è anche il risultato dell'operare di strumenti critici adeguati e, quindi, nella sua versione più elevata, di un rigoroso apparato epistemologico. In questa prospettiva vanno intesi i tre criteri indicati sopra: essi rientrano nella fase logico-epistemologica della strategia che l'intelligenza segue per arrivare a conclusioni sensate.
Occorre ‹‹ distinguere tra principi
permanenti, irresistibili e universali, come l’inferenza abituale dalle
cause agli effetti e dagli effetti alle cause, e principi mutevoli deboli e
irregolari …I primi sono il fondamento di tutti i nostri pensieri e di
tutte le nostre azioni, tanto che, se fossero rimossi, la natura umana
perirebbe e andremmo immediatamente in rovina. I secondi non sono né
inevitabili, né necessari per l’umanità, né tanto meno utili per la
condotta nella vita, anzi all’opposto vengono riscontrati solo nelle menti
deboli … [ così] chi, nel sentire una voce articolata nel buio, conclude
che qualcuno gli sta vicino, questi ragiona giustamente e naturalmente … Ma
uno che, senza sapere perché, nel buio, è tormentato dalla paura degli spettri, si può forse
dire che ragiona, e anche che ragiona in modo naturale. Ma questo è lo
stesso senso in cui si dice che una malattia è naturale, sorge da cause naturali
benché contrarie alla salute …›› D. Hume, Treatise , I, iv.iv, 225 – 26; ed. L.A.
Selby-Bigge & Nidditch, Oxford, 1978.
Hume D., Estratto del Trattato sulla
natura umana (1740), trad. it. di M. Dal Pra,, in D. Hume, Opere,
Bari 1971, vol. I.
Hume D., Dialoghi sulla religione
naturale, trad. it. Di A Attanasio, con testo a fronte, Torino 1997.
Kant I., Seconda analogia
dell'esperienza in Critica della ragion pura (1781 [A], 1787 [B] ), trad. it. di P. Chiodi, Torino 1967.
Ayer A.
J., Hume, trad. it. Di A. Colombo,
Milano 1980.
Attanasio A., Hume, la scienza e
l'esistenza di Dio, introduzione a D. Hume, Dialoghi sulla religione
naturale, cit.
Per quanto riguarda la differenza tra habit
e custom si può consultare il Merriam-Webster's Collegiate Dictionary nel sito dell’ Enciclopedia Britannica o The
American Heritage® Dictionary of
the English Language, all’indirizzo:
http://www.bartleby.com/61/
| Dialegesthai
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